martedì 15 aprile 2014

ITINERARIO LETTERARIO a VENEZIA


I racconti di grandi viaggiatori a Venezialug
2010

Articolo pubblicato il 16-lug-2010 - letto 8616 volte | Torna al blog magazine  del sito dei b&b Italiani
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Con estremo piacere pubblichiamo un lungo articolo dedicato a Venezia di Marco Scurati. Innamorato di Venezia, del suo fascino inesauribile, dei suoi mille colori, del mistero delle sue nebbie e della eterna sorpresa delle calli, è proprietario di un B&B vicino Piazza San Marco, il B&B San Marco
www.realvenice.it/smarco_index.htm
Fratello dello scrittore Antonio Scurati, Marco con una prosa immediata e suadente, racconta la sua città attraverso un viaggio veneziano tra le pagine di scrittori e poeti.

Copyright: Marco Scurati

ITINERARIO LETTERARIO: i racconti di grandi viaggiatori a Venezia

Venezia è stata nei secoli oggetto di una tensione e un desiderio mai sopito da parte di scrittori, in un continuo abbeverarsi a una fonte d’ispirazione inesauribile. Attraverso il fiorire di un immaginario con una pluralità e una ricchezza di significati dal classicismo al rinascimento, dalle glorie passate alla ricerca del bello e del sublime, dai sentimenti romantici ai miti eterni.

Questi significati hanno trovato a Venezia un luogo elettivo spesso sotto la forma del sogno; ed è proprio il sogno e la capacità di fantasticare ad occhi aperti, come da bambini, che molti artisti hanno ritrovato a Venezia.

Venezia fu molto cantata dagli scrittori dell’800 che spesso ne sottolineavano l’aspetto decadente, la gloria perduta, e la bellezza delle sue opere d’arte che però, rispetto alla vita mancante, danno un senso di morte imminente. La morte di Venezia è stata annunciata così tante volte da scienziati e scrittori che oggi il visitatore si stupisce che sia ancora una città abitata, viva e che rinnova il suo miracolo davanti agli occhi di tutti mentre una volta era prerogativa di pochi eletti. (venice is not sinking...)

Quando nel 1307 Dante Alighieri visitò Venezia, fu tale l’impressione che ricevette dalle atmosfere dell’attività dell’Arsenale, allora la più grande “fabbrica” del mondo, che lo paragonò a un girone infernale “quale ne l’arzanà de Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmar i legni lor non sani, chè navicar non ponno.. tal, non per foco ma per divin’arte, bollia là giusto una pegola spessa, che’ nviscava la ripa d’ogni parte...”

Petrarca visse a Venezia 5 anni a partire dal 1362 e la descrisse come “sede di libertà, pace e giustizia, come una città d’oro, piena di onori e potente di virtù, fondata su solidi marmi ma ancor più sul solido fondamento della concordia civile”. Era ancora un'epoca in cui la stabilità delle istituzioni e la ricchezza dei commerci rendevano splendente la Serenissima da tutti i punti di vista.

Altra situazione storico-politica trovò John Ruskin al suo incontro con Venezia a metà dell’800. Secondo Ruskin, nel suo famoso testamento ideologico “The stone of Venice”, l’arte di una nazione è indice preciso del suo temperamento morale, e il declino di Venezia, piu’ che per la resa ai Turchi o l’apertura della via per Capo di Buona Speranza, inizia con l’immagine grossolana eseguita da Tiziano nell’ultima sua opera: la fede era diventata carnale. Con Rinascimento l’uomo viene posto al centro dell'universo e il formalismo estetico prende il sopravvento sull’ascesi mistica del gotico. Venezia diventa così un archetipo che dà a Ruskin il pretesto per una parabola sul decadimento della morale e per una critica di una società dove il senso della cooperazione e dell’onore lasciano il posto alle regole del mercato. Il suo è un monito ancora attuale che da questa città si riverbera in tutto il mondo e che ha influenzato molte generazioni di artisti fino ad oggi; sospeso tra apocalisse e utopia, Ruskin vuole serbare un’immagine prima che vada perduta per sempre, raccogliendo l’avvertimento delle onde che battono inesorabili simili a rintocchi della campana a morto.

Monito che in qualche modo fu fatto proprio anche da Lord Byron. Lo scrittore e poeta inglese visse 5 anni a Venezia nell’hotel Gran Bretagna sul Canal Grande, conducendo una vita da libertino. Byron conferma questo senso di decadenza e presagisce la morte della città, si compiace nel descrivere una gloria morente che rimane viva solo per la sua arte: “i palazzi vanno in rovina, la musica non si sente piu’, quei giorni sono passati solo la bellezza è rimasta...”

Chi morì a Venezia nella sua casa sul Canal Grande fu invece Richard Wagner, nel 1883, dopo aver composto le musiche del Parsifal , nel suo ultimo soggiorno sul Canal Grande a Palazzo Vendramin Calergi sede oggi del Casinò. Sei furono in totale le sue visite veneziane. Il 1858 fu l’anno del suo primo soggiorno; il più significativo fu forse quello legato alla separazione dalla prima moglie Minna, fu allora che finì di comporre il “Tristano e Isotta” ispirato da Venezia e dai canti notturni dei gondolieri. Geniale presagio funebre del trascinato lamento del coro pastorale del terzo atto.

Nel racconto “Morte a Venezia” Thomas Mann (che Visconti rese magistralmente nell’omonimo film), racconta l’avventura di un celebre scrittore malato che si reca a Venezia per trovare pace e finire la sua opera. Von Aschenbach, questo il nome dello scrittore, incontra nel suo albergo al Lido (Hotel des Bains) un bellissimo ragazzo polacco, Tadzio. L'incontro fa scaturire una passione che diviene presto estasi e ossessione, e, in una Venezia ferita dal colera, lo scrittore trova la morte tra la necessità di finire la sua opera e seguire il delirio della passione.

Altri segni di decandeza e morte ci vengono da H.De Balzac che vede Venezia come “una città morente che d’ora in ora sprofonda nella tomba”. Guy de Maupassant descrive la città come: “bella fierezza di gloria passata, tutto sembra in rovina sul punto di crollare in questa acqua che sostiene una città logora. Le facciate sono devastate dal tempo, macchiate dall’umidità, inclinate sul fianco pronte a cadere, stanche di rimanere così tanto tempo sulle loro palafitte...”

Anche Marcel Proust fu ispirato dalle lettura di Ruskin, e come tanti artisti, aveva sognato per molto tempo Venezia. Quest'ultima era per lui un sogno quasi inaccessibile, la summa delle sue esperienze culturali ed estetiche. Proust vi giunse tardi alla morte di Ruskin, nel 1900, in compagnia della vecchia madre. Egli rimase affascinato dai riverberi dell’acqua, dai mosaici e i cavalli di San Marco, dai vestiti di Fortuny e dai quadri di Carpaccio. Quel viaggio ispirò molte opere tra le quali uno dei passi più significativi della . Un mattino a Parigi Marcel, protagonista del romanzo “Alla ricerca del tempo perduto”, inciampa in una lastra del pavimento, quel banale incidente evoca in lui un’analoga sensazione del passato che risale a una visita alla Basilica di San Marco. Da quel momento il suo io frammentato e privo di senso si ricompone come un mosaico. “Il tempo ritrovato” è l’ultimo capitolo nella Recherche Proustiana, di un lungo viaggio di scoperta” che trova la sua ricomposizione a Venezia; la città diventa metafora del senso della vita e della possibilità di salvarsi grazie all‘arte.

Goethe, nel 1786, arrivò a Venezia lasciando la sua carica di ministro, anch’egli realizza un sogno giovanile abbandonandosi “ai labirinti delle strette viuzze e alla seduta in gondola per ore”. Immaginiamo cosa si doveva provare un tempo ad essere essere l’unico turista e poter disporre a piacimento di un mezzo galleggiante per tutto il giorno... Goethe ebbe modo di scrivere “tutto cio’ che mi circonda è pieno di nobiltà, è l’opera grande e rispettabile di una forza umana concorde, il monumento magnifico, non già di un sovrano, ma di un popolo, anche se la potenza commerciale della Serenissima declina, nondimeno la sua struttura grandiosa e il suo carattere non cesseranno un istante di apparire all’osservatore degni di venerazione”.

Ma forse chi fu più entusiasta della visita in città senza esaltarne l'aspetto decadente o cupo o la ricerca di un tempo perduto, fu Herman Hesse che visitò Venezia nel 1901. Hesse fu totalmente pervaso dalla bellezza che definì un vero incantesimo veneziano; l'estasi fu tale che lo scrittore godeva con gioia della pioggia scrosciante che lo bagnava. Oltre a fare il bagno tutti i giorni in Laguna e nel canale della Giudecca, amava farsi trasportare per ore dalla gondola nei canali, fino a farsi lasciare nel campo che, nelle notti di luna, prediligeva più degli altri: Campo San Giovanni e Paolo e la Scuola di San Marco.

Shakespeare non fu mai a Venezia ma vi trasse ispirazione, per alcune delle sue più belle opere,. Come non ricordare Shylock, l'ebreo usuraio del Mercante di Venezia o Desdemona la cui storia è raccontata nell'Otello.

Un altro scrittore che ha descritto Venezia ed ebbe un forte rapporto con la città è Gabriele D’annunzio. In particolare ne il “Fuoco”, con una prosa a dir poco fiammeggiante, mette in scena una vera epifania del fuoco, tra fuochi d’artificio al Redentore, lavorazione del vetro e brucianti passioni amorose. Concentra l’attenzione sulla lavorazione del vetro nell’isola di Murano, affascinato da “come la materia incontra il fuoco e plasmata dall’uomo si fa gelida gemma in una nuova vita...” tutto nel quadro dell’ardente storia d’amore di Stelio e Foscarina coinvolti in un delirio dei sensi nel corteo funebre che scorta il corpo di Wagner lungo il Canal Grande. I protagonisti sono in lo stesso scrittore ed Eleonora Duse che vissero la loro passione nella casetta delle Rose sul Canal Grande

Nel 1879 Friedrich Nietzsche malato abbandona la cattedra di Basilea e si reca a Venezia dove aveva già soggiornato. Qui scrive “Aurora, l’ombra di Venezia” per celebrare l’unico angolo della terra che egli ami e che gli ricorda la musica; Venezia è per Nietzsche città musicale come lo fu per Mozart che la definì città liquida e dove compose il mottetto “esultate et iubilate”.

Maurice Barres scrive “un silenzio che nega il rumore sordo e confuso, dove i suoni corrono intatti e limpidi dove i muri li rimandano sulla superficie dell’acqua della laguna, che a sua volta, li fa risuonare senza mescolarli ad altri”.

Luigi Nono, musicista veneziano: “a Venezia s’impara a vedere e ascoltare l’invisibile e l’inaudibile, le pietre i mattoni, lo scuro, l’acqua, la luce, le cose ci parlano”.

A Venezia sembra normale per gli artisti che i sensi si acuiscano. Forse perchè a Venezia non c’è quella patina di modernità che tutto omologa, confonde e ottunde.

Ed ecco un modo originale per esplorare la città, come ci suggerisce uno scrittore veneziano, Tiziano Scarpa nell’originale guida “Venezia è un pesce”. Scarpa ci invita a scoprirla attraverso i sensi sperimentando il piacere che provano nell’attraversarla le mani, i piedi, gli occhi, le orecchie e il naso.

Un altro modo per scoprire Venezia, ancora piu’ poetico, è quello suggerito da Josif Brodskij cioè quello di imparare a sentirsi un gatto lasciando che le cose vengano a noi. Il gatto, apparentemente passivo, possiede il massimo di capacità selettiva che permette di cogliere i significati nascosti delle cose solo con il semplice “stare”. In “Io sono un gatto” Brodskij venne folgorato da questa sensazione di assoluta animalesca felicità una mattina a Venezia strusciando un muro in Fondamenta dei Mendicanti e strizzando gli occhi per guardare il sole. Da quel momento ci fu sempre un gatto dentro di lui e se non fosse stato per quel gatto scrisse “a quest’ora mi arrampicherei sui muri di qualche istituto per ospiti di lusso”

Oggi noi gatti sapienti in un sorta di ozio creativo possiamo godere della Venezia-terapia come hanno fatto tanti scrittori attraverso l’energia che la luce e l’acqua di questo luogo magico regalano alla carne e al cervello, al cuore e all’anima...